Li racconta nel libro Invention: La mia storia il fondatore dell'azienda, famosa per il suo aspirapolvere ciclonico (e altro ancora)

Si potrebbe dire – parafrasando Tolstoj – che tutte le imprese di successo si assomigliano, mentre ogni impresa che fallisce lo fa a modo suo. E, in parte, è probabilmente vero. Ma, leggendo Invention di James Dyson (edito da Rizzoli, in libreria dal 19 aprile), viene anche il sospetto che l’immagine dell’imprenditore-inventore che supera mille ostacoli, affacciandosi più volte sull’orlo del baratro (leggi: bancarotta) sia in parte frutto di uno storytelling ormai così consolidato che, a posteriori, influenza, persino inconsciamente, il racconto dei protagonisti.
Per Dyson, fondatore, presidente e capo ingegnere dell’azienda che porta il suo nome, famosa per il suo aspirapolvere ciclonico, appare subito chiaro che “fallimenti” è un mantra.
Fin dalle prime righe del libro, infatti, cita il numero preciso di prototipi dell’aspirapolvere finiti nel proverbiale cestino prima di concepire e costruire quello giusto: 5126. Tanto che, racconta, avrebbe voluto intitolare il suo libro James Dyson: il fallimento. E spiega: “Spesso l’inventiva dipende più dalla tenacia e dall’osservazione paziente che dalle idee brillanti”.
Se pensate che 396 pagine per raccontare la nascita di un aspirapolvere, per quanto meraviglioso, innovativo, persino rivoluzionario, siano troppe, potreste ricredervi.
Nel libro, infatti, trovano spazio anche aspetti e progetti meno noti dell’azienda. Per esempio, sempre alla voce fallimenti, la realizzazione, in anni più recenti, di un’auto elettrica finita anche lei nel cestino insieme a una serie di altri costosi e sfortunati prototipi.
Nonché il racconto delle avventure imprenditoriali che precedono l’aspirapolvere: dal Sea Truck, una veloce barca con scafo a fondo piatto, progettata alla Rotork insieme a Jeremy Fry, alla carriola Ballbarrow, prima invenzione in proprio di James Dyson, messa in commercio nel 1974 e ispirata da una frustrazione personale.
Un mezzo successo, seppure più funzionale delle carriole tradizionali, perché “stagionale” e troppo di nicchia: non tutti hanno un giardino e chi ce l’ha se ne occupa soprattutto in primavera. Esattamente l’opposto di un aspirapolvere: chi vive in una casa la deve pulire regolarmente.
Ma prima ancora di arrivare alle sue invenzioni, Dyson dedica parecchie pagine alle sue origini. A cominciare dai suoi genitori: il padre, Alec, un professore di materie classiche, tornato nel 1946 dalla guerra in Birmania dove aveva “lasciato i denti e i capelli”, e la madre, Mary, che, da ragazza, dopo aver dovuto rinunciare a continuare gli studi all’Università, si era arruolata “volontaria nella Waaf (Women’s Auxiliary Air Force). Mappava le posizioni degli aerei in una vasta regione dell’Europa da Tangmere, nel West Sussex”.
Terzo e ultimo figlio, James rimase orfano di padre nel 1956, “quando io avevo nove anni e lui quaranta”. Incidente che sembra voler interpretare come un segno del destino quando scrive: “Molti anni dopo mi stupii quando, in un libro di Virginia Ironside, lessi che l’ottantacinque per cento dei primi ministri britannici, da Robert Walpole a John Major, e dodici presidenti americani, da George Washington a Barack Obama, avevano perso il padre da piccoli. Sarebbe sbagliato dire che la perdita del padre è una sorta di macabro biglietto per il successo, ma un lutto prematuro stimola forse alcuni individui a fare grandi conquiste?”.
Una domanda che, evidentemente, suona retorica. Lui, però, non ha seguito la tradizione e oggi, a 74 anni, è ancora in attività e in circolazione per la gioia dei sette nipoti nati dai suoi tre figli: Emily, una stilista, Jake, che fa il designer e Sam, che è diventato musicista.
Ma saltiamo le prime esperienze lavorative e le prime invenzioni per arrivare all’aspirapolvere numero 5127. Un’invenzione nata da quella che potremmo definire una vera e propria ossessione per “il principio dell’estrazione centrifuga della polvere applicato al separatore ciclonico”. Abbinata a un’altra frustrazione simile a quella della carriola.
In questo caso, “l’inganno dei sacchetti per la polvere”. Che, scopre, più che un “un ricettacolo per la polvere”, funzionano da filtro, “intrappolando lo sporco all’interno e permettendo all’aria di passare attraverso i pori”. Per cui, spiega, “l’indicatore ‘sacchetto pieno’ non è affatto un indicatore ‘sacchetto pieno’, bensì ‘sacchetto intasato’. Rileva la pressione quando i pori si occludono, annunciando che il sacchetto è pieno quando, in realtà, i suoi pori sono ostruiti, cosa che può accadere anche quando dentro c’è solo una piccolissima quantità di polvere”.
Il resto, si potrebbe dire, è storia. Il Dyson DC01, il primo aspirapolvere senza sacchetti, infatti, sarebbe nato nel 1993.
Il libro prosegue alternano lo sviluppo di nuovi modelli di aspirapolvere ad altre invenzioni, come l’asciugamani ad aria, Dyson Airblad, gli asciugacapelli (resi famosi dallo stilista Karl Lagerfeld che ne volle uno per l’adorata gatta Choupette: 25mila follower su Instagram e un account Twitter tutto suo), e altre meno fortunate.
Per esempio, la lavatrice Dyson Contrarotator, “il primo apparecchio ad avere una coppia di cestelli che ruotavano in direzioni opposte per riprodurre il movimento del lavaggio a mano” e la “Diesel Trap” per catturare i gas di scarico dei motori diesel. Fino al progetto più ambizioso: un’auto elettricaprogettata e costruita tutta in proprio. “Nel 2014, stavamo sviluppando batterie sempre più efficienti. Era da qualche tempo che lavoravamo ai motori elettrici ad alte prestazioni. (...) Intuii che stavamo creando proprio la tecnologia e le conoscenze specifiche che, insieme, avrebbero permesso la costruzione di un’auto elettrica”.
Il progetto andò avanti per cinque anni. Con la sua testardaggine, James Dyson era deciso a progettare e costruire ogni singolo componente da zero (Anche il telaio disegnato ex novo e non adattato come quello di Tesla) e a produrre batterie capaci di garantire mille chilometri di autonomia, “anche in una giornata fredda e umida, con i fari accesi e il climatizzatore o il riscaldamento al massimo”.
Il risultato, che vide la luce qualche anno dopo, era “un Suv a sette posti, più o meno delle stesse dimensioni di una Range Rover (…) . A ottanta chilometri orari, la vettura scendeva sulle sospensioni per approfittare del centro di gravità più basso. In acqua o su terreni insidiosi, si poteva sollevare per avere una maggiore altezza dal suolo. Era in grado di ‘guadare’ acque profonde 920 millimetri”. Dotato di molti altri dispositivi persino futuristici. Per esempio, “un head-up display (hud) potenziato, che avrebbe permesso al conducente di visualizzare sul parabrezza la navigazione satellitare, la velocità, la stazione radio, l’autonomia disponibile, i cartelli stradali (per esempio, quelli dei limiti di velocità), il controllo adattivo della velocità di crociera e altri avvisi”.
E, aggiunge, “c’erano ulteriori miglioramenti programmati per il 2026, con un dispositivo digitale a microspecchi basato sulla realtà aumentata e sulla capacità olografica”.
Nel 2019, però, il progetto fu abbandonato. Dyson dovette prendere atto di non poter competere con le grandi case automobilistiche e neppure con Elon Musk (nei confronti il quale, fra le righe, non si può non notare un certo astio).
Qui e là nel libro, inoltre, Dyson dispensa consigli per gli imprenditori di oggi e di domani. Eccone alcuni:
1) Non cercate di andare nella direzione che supponete sia quella che si aspettano i clienti. “Noi non domandiamo ai clienti cosa vogliano e poi lo costruiamo. Questo tipo di progettazione basata su gruppi di discussione può funzionare a brevissimo termine, ma non nel lungo periodo. Poco prima del lancio della Mini, la Austin Morris consultò un gruppo di discussione, e nessuno volle questa auto minuscola dalle ruote piccole. Così l’azienda ridusse le linee di produzione a una sola. Quando il pubblico vide la vettura sulle strade, andò in visibilio. La Austin Morris non riuscì mai a tener dietro alla domanda, perdendo ingenti profitti”.
2) Essere avanti non è una garanzia di successo. “Un’invenzione potrebbe essere geniale, ma inadatta o irrilevante per il mercato a cui è destinata. Un certo oggetto potrebbe essere considerato in anticipo sui tempi e, a volte proprio per questo, persino ridicolo. Subito dopo il lancio, il Walkman Sony, che poi avrebbe avuto un enorme successo, fu completamente ignorato. Chi avrebbe voluto, infatti, un registratore a cassette che non registrava?”.
3) Mai perdere il controllo della propria azienda e tenersi stretti i brevetti. “Avere il controllo assoluto dell’azienda è indispensabile (…) Ero deciso a non rinunciare più ai miei brevetti, invenzioni e società. Oggi la Dyson è un’azienda globale. Sono il proprietario, e questo è davvero importante per me. La Dyson continua a essere una società privata. Senza azionisti pronti a metterci i bastoni tra le ruote, siamo liberi di prendere decisioni radicali a lungo termine. Non sono interessato a quotarla in borsa perché so che questo metterebbe fine alla sua libertà di innovazione”.
WIRED